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Costituzione di parte civile delle Associazioni Sindacali in materia di lavoro e sicurezza

la costituzione di parte civile nell’ordinamento vigente)

Con la costituzione di parte civile all’interno di un procedimento penale, il soggetto al quale il reato ha recato danno instaura il rapporto processuale civile contro l’imputato e il responsabile civile, al fine di ottenere le restituzioni e il risarcimento del danno (art. 74 c.p.p.).

La giurisprudenza ha indicato, quali requisiti per l’ammissibilità di un soggetto alla costituzione di parte civile:

1. l’esistenza di un danno ingiusto consistente nella lesione di un interesse, patrimoniale o non patrimoniale, protetto dall’ordinamento;
2. la sussistenza, tra il reato e il danno, di un nesso di causalità;
3. l’interesse ad agire.

Ai fini della questione che qui ci occupa, occorre innanzitutto precisare che, nella terminologia dell’ultimo codice di procedura penale, il soggetto passivo del reato (parte offesa) è il titolare del bene protetto dalla norma penale violata nel caso specifico, mentre il danneggiato è chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato.

Va poi rilevato che, nel nuovo art. 74 c.p.p., il termine “persona” alla quale il reato ha recato danno è stato sostituito con quello di “soggetto”. Si tratta di una scelta legislativa importante, in quanto, come documenta la relazione ministeriale, “legittimati all’esercizio dell’azione civile in sede penale non sono soltanto le persone fisiche e gli enti o le associazioni dotati di personalità giuridica, ma anche le figure soggettive non personificate, come associazioni non riconosciute, comitati, ecc.”.

Analogamente, l’art. 78 lett. a) c.p.p. prevede esplicitamente la facoltà di costituirsi parte civile anche di associazioni ed enti e l’art. 91 c.p.p. estende ai soggetti portatori dei cd. interessi diffusi i diritti attribuiti alla persona offesa dal reato.

Le Organizzazioni sindacali

La costituzione di parte civile di un Sindacato non è soggetta a regole diverse rispetto a quelli comuni. Occorre dunque accertare, nel caso specifico, se il sindacato è titolare di un diritto e se tale situazione soggettiva è stata realmente danneggiata dal reato.

Ebbene, in relazione al primo punto si è rilevato che:

1. le Associazioni Sindacali, quali enti esponenziali, sono titolari, non solo dei diritti connaturati a qualsiasi soggetto, quali i diritti della personalità, ma anche di interessi di rilevanza generale, fra cui l’interesse collettivo dei lavoratori all’integrità psico-fisica e alla dignità, alla sicurezza dell’ambiente di lavoro e delle condizioni di lavoro, alla regolarità del rapporto di lavoro e a un trattamento economico adeguato (artt. 2, 32, 35, 36 Cost.).
2. Esse perseguono l’interesse dei lavoratori alla solidarietà e all’eguaglianza, attraverso gli strumenti di tutela collettiva di cui agli artt.9 e 28 L.300/1970 (cd. Statuto dei Lavoratori).
3. L’art. 18 D.lgs. 626/1994 prevede l’istituzione, all’interno delle aziende, del rappresentante della sicurezza, eletto dai lavoratori nell’ambito delle OO.SS..

Sotto il profilo del danno, si è conseguentemente affermato che esso sussiste sia quando l’associazione è colpita direttamente nei suoi beni o nell’esercizio di una sua attività, sia quando è compromesso il suo interesse come organizzazione portatrice degli interessi collettivi menzionati.

Dunque, le Associazioni Sindacali sono legittimate a costituirsi parte civile nei procedimenti aventi ad oggetto reati colposi di lesioni o di omicidio compiuto in violazione di norme di sicurezza sul lavoro, che ledono in modo diretto – oltre al diritto soggettivo del lavoratore alla propria incolumità – anche l’interesse collettivo dei lavoratori alla loro salute, interesse riconducibile direttamente agli enti di varia natura in cui i lavoratori si costituiscono[1].

Si tratta generalmente di un danno non patrimoniale, che non determina una diminuzione economica nel patrimonio del soggetto collettivo, ma si sostanzia nella lesione del prestigio e della credibilità delle OO.SS. e nell’ostacolo frapposto al perseguimento e alla realizzazione di fini istituzionali propri dell’ente[2].

Le ordinanze di Monza e di Milano

Alla luce di tali considerazioni, non appare condivisibile l’ordinanza del Tribunale di Monza, che ha respinto la costituzione di parte civile dei sindacati, affermando che il concetto di tutela dell’interesse collettivo è “troppo evanescente”, che il lavoratore infortunato non era iscritto alle associazioni sindacali e, infine, che queste ultime non avrebbero documentato alcun intervento specifico all’interno del luogo di lavoro.

Per quanto riguarda la pretesa carenza di rappresentatività del sindacato, si osserva che l’iscrizione del lavoratore al Sindacato non è condizione per la sua tutela da parte delle OO.SS.: la Costituzione riconosce infatti il Sindacato come ente preposto alla tutela dei diritti di tutti i lavoratori, anche di quelli non iscritti (infatti i contratti collettivi nazionali sono applicabili anche ai non iscritti).

In secondo luogo, la giurisprudenza, a conferma di tale interpretazione, ha anzi precisato che per “lavoratore” deve intendersi anche il prestatore di lavoro “di fatto”, i sindacati sono infatti portatori anche dell’interesse collettivo alla regolarità e regolarizzazione del posto di lavoro, “in quanto l’esistenza di una fascia di lavoratori irregolari …viene a incidere sulla stessa capacità del Sindacato di essere rappresentativo degli interessi di un numero sempre più vasto di lavoratori, con possibili ripercussioni anche sul piano del potere contrattuale dello stesso sindacato e, di riflesso, sulla generale tutela degli interessi dei lavoratori”[3].

Aderire alla tesi contraria, richiamata nell’ordinanza, significherebbe negare tutela ai lavoratori clandestini assunti irregolarmente, come nel caso di G.M.S..

Quanto all’obiezione, avanzata dal Giudice di Monza, relativa alla mancanza di un danno diretto da parte del Sindacato e alla carenza di prova circa la presenza delle OO.SS. sul luogo di lavoro teatro dell’infortunio, essa è altrettanto insostenibile, per ragioni di fatto e di diritto.

Il Tribunale, per quanto riguarda l’assoluta carenza di danno diretto, aderisce, innanzitutto, all’orientamento giurisprudenziale minoritario secondo cui l’ingresso nel procedimento penale sarebbe riservato a chi subisce un danno diretto e immediato, rigorosamente individuato: di un tale requisito, peraltro, non vi è traccia nelle norme penal-processuali vigenti. In ogni caso, il danno lamentato dalle OO.SS. non è affatto eccessivamente generico: esso consiste nella lesione dello specifico interesse collettivo alla salute e all’integrità fisica dei lavoratori, di cui le associazioni stesse sono per l’appunto portatrici, e su cui si fonda la loro soggettività giuridica.

La tesi esposta dal Giudice di Monza, a proposito dei mancati interventi in cantiere del sindacato, è poi del tutto avulsa da una effettiva conoscenza della realtà del cantiere edile, temporaneo per definizione, soggetto a continui spostamenti e in cui vengono utilizzati lavoratori sempre diversi e spesso non in regola.

In tale realtà, per i delegati sindacali e gli RLS, è difficile operare anche a causa della reticenza dello stesso personale, spesso irregolare, e per la difficoltà di acquisire dati sull’effettiva sicurezza del cantiere.

A titolo di esempio, a riprova delle difficoltà operative degli RLST del bacino territoriale di utenza, basti ricordare che, in base all’art.4.4 dell’Accordo Nazionale 3/9/1996 in attuazione del D.lgs. 626/1994, il rappresentante territoriale per la sicurezza deve comunicare, per iscritto e con sette giorni di anticipo, alla componente datoriale dell’OPTA (Organismo paritetico territoriale) l’intenzione di accedere ai luoghi di lavoro ex art. 19 D.lgs. 626/1994. Il termine è ridotto a tre giorni per emergenze che attengono al pregiudizio della sicurezza dei lavoratori.

In mancanza dell’effetto sorpresa, lo scopo del sopralluogo del RLS è di fatto vanificato.

Proprio ove si accedesse all’interpretazione del Tribunale di Monza, la condotta richiesta ai Sindacati sarebbe sì “evanescente” e soggetta esclusivamente alla valutazione discrezionale del Giudice.

Più correttamente, dunque, l’ordinanza del Giudice di Milano considera fatto “notorio” l’attività delle OO.SS. e il loro impegno nella salvaguardia della salute dei lavoratori.

Da questo punto di vista, l’ordinanza del Tribunale di Milano, relativa al disastro di Liste, è assai più coerente con l’orientamento giurisprudenziale più moderno e con i principi costituzionali.

L’aspetto rilevante di questa vicenda processuale è piuttosto il riconoscimento che le Associazioni Sindacali, quali soggetti collettivi interessati al rispetto della normativa di sicurezza dei luoghi di lavoro, sono legittimate ad agire non solo a tutela dei lavoratori da esse rappresentati, ma di ogni cittadino che fruisca del servizio aeroportuale.

La normativa di sicurezza ha infatti una sua cogenza di natura oggettiva: essa va applicata, sempre e comunque, non solo a tutela della sicurezza dei lavoratori addetti, ma anche delle persone occasionalmente presenti in un luogo di lavoro.

[1]Trib. Monza, 30 novembre 1993.
[2]Già:Trib. Lodi, 25 maggio 1982.

In alcuni casi, peraltro, vi è anche un danno patrimoniale indiretto, poiché il discredito e il danno all’immagine subito dal sindacato incidono quasi sempre anche sul suo patrimonio, traducendosi in una diminuzione delle iscrizioni, in una perdita di prestigio, ecc.

[3]G.U.P. Busto Arsizio, ord. 8 marzo 2001

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