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45 lavoratori su 100 si sentono discriminati per il fattore “età”. Come sapere tutto su salute e sicurezza di una forza lavoro europea che invecchia? Da oggi basta un click

Sono on line i risultati del progetto “Lavoro più sicuro e più sano ad ogni età” commissionato dal Parlamento europeo all’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha). Con dati aggiornati all’ anno 2015

Il progetto analizza le tendenze e le sfide demografiche nonché le attuali strategie e politiche per affrontare l’invecchiamento sul posto di lavoro in condizioni di salute e sicurezza.

I risultati forniscono informazioni in merito allo sviluppo di politiche in questo campo e sono ora disponibili on-line, facilmente accessibili attraverso uno strumento di visualizzazione interattivo facile da usare. Obiettivi: studiare il livello di sicurezza e le condizioni di salute dei lavoratori meno giovani e individuare le modalità per garantire la sostenibilità del lavoro.

Si scopre così che il 45% dei lavoratori europei ritiene di essere discriminato sul posto di lavoro per motivi legati all’età e sopra i 55 anni la discriminazione è molto diffusa.

Nell’ambito della ricerca, per facilitare l’analisi di tutti i paesi Ue, sono stati individuati tre gruppi. L’Italia appartiene al gruppo 2 insieme a Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera. Si tratta di un’aggregazione grande che presenta caratteristiche molto diverse da paese a paese, soprattutto in termini di sviluppo demografico e dal punto di vista della situazione economica. Il gruppo, infatti, include paesi come l’Irlanda con una delle popolazioni più giovani in Europa e l’Italia, uno degli stati più anziani. Alcuni di questi paesi hanno avuto una popolazione relativamente giovane fino a poco tempo fa ma si troveranno ad affrontare un rapido invecchiamento nei decenni a venire.

Se infatti il nostro paese si attesta alla media di 44,7 anni nel 2014 con previsione di arrivare a un invecchiamento medio della popolazione lavorativa di 48,7 anni entro il 2060, per lo stesso periodo il Portogallo presenta una variazione di invecchiamento maggiore che si posiziona tra i 43,1 e 53,1 anni nella previsione per il 2060.

La maggior parte dei paesi appartenenti a questo gruppo ha sofferto della crisi economica che ha causato disoccupazione elevata, in particolare fra i gruppi di età più giovani. Qui, però, le politiche sono state concentrate soprattutto su come aumentare i tassi di occupazione dei lavoratori più anziani.

Condotto tra il 2013 e il 2015 il progetto europeo “Lavoro più sicuro e più sano ad ogni età” è alla base della campagna di sensibilizzazione attualmente in corso dal titolo “Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età” iniziata ad aprile 2016 che si concluderà il 26 aprile 2017 alla Valletta (Malta) con la cerimonia di premiazione del “Premio buone pratiche”,  dedicato alle buone pratiche sull’invecchiamento attivo messe in atto nei luoghi di lavoro.

Per conoscere tutti i dati del progetto:

L’aggiornamento formativo per lavoratori, dirigenti, preposti e datori di lavoro Rspp è da fare entro l’11 gennaio 2017

Ultime settimane per mettersi in regola con l’aggiornamento formativo. E’ il prossimo 11 gennaio 2017, infatti, il termine ultimo per concludere gli aggiornamenti per lavoratori, dirigenti, preposti e datori di lavoro Rspp che sono stati formati entro l’11 gennaio 2012, data in cui entrarono in vigore gli Accordi Stato-Regioni del 21 dicembre 2011. Per coloro che avevano eseguito la formazione prima dell’11 gennaio 2007, invece, il termine di obbligo entro il quale aggiornarsi nuovamente è stato l’11 gennaio 2013. La normativa, infatti, prevede l’aggiornamento formativo dei lavoratori in un arco temporale di cinque anni. Per tutti, lavoratori, preposti e dirigenti, la durata minima dell’aggiornamento formativo previsto è di 6 ore. Inoltre l’art. 9 dell’Accordo del 21 dicembre 2011 per la formazione dei lavoratori precisa che “Nei corsi di aggiornamento dei lavoratori non dovranno essere riprodotti meramente argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma si dovranno trattare significative evoluzioni e innovazioni, applicazioni pratiche e/o approfondimenti che potranno riguardare:

  • approfondimenti giuridico – normativi
  • aggiornamenti tecnici sui rischi ai quali sono esposti i lavoratori
  • aggiornamenti su organizzazione e gestione della sicurezza in azienda
  • fonti di rischi e relative misure di prevenzione.

Quello dell’aggiornamento formativo obbligatorio è dunque un’occasione per mantenere adeguati gli standard di formazione in ordine alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Del resto il Decreto Legislativo 81/2008 all’art. 37 sottolinea il ruolo centrale della formazione alla sicurezza per la prevenzione di incidenti e malattie professionali e indica la necessità di un aggiornamento periodico in relazione all’evoluzione della normativa e all’evoluzione dei rischi.

Per saperne di più clicca qui.

Cassa Edile di Mutualità e Assistenza: per i lavoratori iscritti vantaggi e opportunità

L’iscrizione alla Cassa Edile di Mutualità e Assistenza è importante. Porta numerosi vantaggi al lavoratore che può richiedere le prestazioni a lui dedicate.

Ecco come fare. Basta collegarsi al sito www.cassaedilemilano.it e tramite la funzione informatica “Richiesta prestazioni” dell’area dei Servizi on-line si può inviare la propria richiesta, in alternativa occorre compilare correttamente gli appositi moduli scaricabili dal sito. Per ogni richiesta il modulo deve essere compilato, firmato e spedito in originale, insieme ai documenti indicati in ciascuna domanda di prestazione, presso una delle sedi Cassa Edile.

L’iscrizione alla Cassa Edile garantisce al lavoratore il pagamento di ferie, gratifica natalizia e anzianità professionale edile, così come previsto dai contratti collettivi nazionali e territoriali dell’edilizia. Inoltre è prevista la possibilità di richiedere rimborsi per spese mediche, scolastiche per il lavoratore e la sua famiglia che costituiscono le prestazioni assistenziali integrative del reddito. Cassa Edile, al lavoratore iscritto, garantisce un’annuale fornitura di indumenti e calzature da lavoro, un premio di anzianità aziendale, il così detto “Premio fedeltà”, se il lavoratore è alle dipendenze della stessa impresa da almeno otto anni e l’impresa risulta iscritta in Cassa Edile di Milano, Lodi, Monza e Brianza per lo stesso periodo. Se il lavoratore cambia impresa o si sposta da una provincia all’altra e da una Cassa Edile all’altra sul territorio nazionale, i trattamenti economici previsti dal contratto e le prestazioni assistenziali integrative a lui dovute sono assicurati grazie agli specifici accordi stipulati tra le varie Casse Edili presenti in Italia. In caso di versamenti dovuti al lavoratore da parte dell’impresa e non effettuati, la tutela è esercitata dall’azione di recupero che gli uffici Cassa Edile mettono in atto nei confronti delle imprese inadempienti. Il pagamento al lavoratore sarà erogato successivamente, a recupero avvenuto.

Cassa Edile provvede anche alla gestione gratuita dell’accantonamento dei contributi per la pensione integrativa di categoria (Fondo Prevedi) e all’eventuale cessione del credito del quinto dello stipendio. Infine per i lavoratori iscritti a Cassa Edile è prevista la partecipazione gratuita sia a tutti i corsi di formazione alla sicurezza erogati dal Comitato Paritetico Territoriale (CPT) www.cptmilano.it, sia a quelli finalizzati alla crescita professionale erogati dall’ Ente Scuola Edile Milanese (ESEM), www.esem.it.

Il D.lgs.66/2003

L’8 aprile 2003 è stato emanato il D.lgs. 66/2003, in attuazione di due direttive comunitarie (n°93/104/CE e 2000/34/CE) concernenti l’organizzazione dell’orario di lavoro.

Il provvedimento è stato emanato a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per negligenza comunitaria (sentenza Corte di Giustizia Europea 9.3.2000, n°386/98).

Nuovo Orario di Lavoro

(approfondimento D.lgs.66/2003)

Il D. Lgs. 662003 promulgato nell’aprile 2003 ed entrato in vigore il 29 aprile 2003 ha introdotto una nuova disciplina dell’orario di lavoro, innovando radicalmente la precedente regolamentazione della prestazione di lavoro ordinario e straordinario.

La nuova normativa, che ha recepito due direttive comunitarie (nr. 93104CE e 200034CE), è stata emanata dopo la condanna per negligenza comunitaria inflitta all’Italia il 9 marzo 2000 dalla Corte di Giustizia Europea con sentenza nr. 38698.

La nuova normativa richiede alcune osservazioni e riflessioni.

Il D. Lgs. 663 ha introdotto numerose novità a proposito dell’orario di lavoro normale, del lavoro notturno, di quello a turni, del lavoro straordinario e in tema di riposi.

Tra queste la più significativa è la nuova nozione di orario di lavoro.

Infatti, l’art. 1 stabilisce il principio che la durata massima dell’orario di lavoro non può eccedere le 48 ore settimanali, comprensivo del lavoro straordinario.

L’orario di lavoro non è più calcolato su base giornaliera, bensì settimanale, e con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative rapportate ad un arco temporale di 4 mesi, periodo estensibile fino ad 1 anno dalla contrattazione collettiva.

La precedente regolamentazione prevedeva come limite all’orario normale di lavoro 40 ore settimanali (art. 13 L. 19697) e per il lavoro straordinario un limite di 250 ore annuali e 80 ore trimestrali (l. 40998).

Questa nuova disciplina impone una prima considerazione: i limiti di durata dell’orario normale di lavoro risultano essere necessariamente elastici in mancanza di un tetto massimo assoluto per l’orario settimanale, e per il riferimento alla durata media della prestazione lavorativa.>

Un esempio può far meglio comprendere il concetto: una impresa potrebbe, per alcune settimane, adottare un orario settimanale di 60 ore, e ridurre l’orario per il periodo residuo, rispettando in tale modo la media di 48 ore riferita all’arco temporale di 4 mesi.

Sorge spontaneo un interrogativo: il legislatore del D. Lgs 662003 ha realizzato le finalità della direttiva 93104?

A tale proposito è opportuno ricordare quanto affermato dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 9 settembre 2003 C. 1512000.

“La direttiva fissa prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. : E’ diretta a garantire una migliore tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere questi ultimi di periodi minimi di riposo e di periodi di pausa adeguati prevedendo un tetto per la durata della settimana lavorativa. Ogni lavoratore deve beneficiare di periodi di riposo adeguati che, oltre ad essere effettivi, consentendo alle persone interessate di recuperare la fatica dovuta al lavoro, devono anche rivestire un carattere preventivo tale da ridurre il più possibile il rischio di alterazione della salute dei lavoratori che l’accumulo di periodi di lavoro senza il necessario riposo può rappresentare.>

Per contro, una serie di periodi di lavoro svolti senza che fra di essi sia intercalato il tempo di riposo necessario, può provocare un danno al lavoratore o quanto meno rischia di oltrepassare le capacità fisiche di quest’ultimo, mettendo così in pericolo la sua salute e la sua sicurezza”.

Risulta, pertanto, chiaro che la direttiva comunitaria persegue l’obiettivo di far introdurre nella normativa degli stati comunitari “alcune prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro”.

Gli stessi principi della direttiva comunitaria, posti a fondamento del D. Lg. 662003, che qui ricordiamo in modo sintetico, confermano le finalità’di tutela della salute del lavoratore:

* tutti i lavoratori devono avere periodi di riposo adeguati.
* Il concetto di riposo deve essere espresso in unità di tempo, cioè giorni, ore, frazioni di ore.
* La collocazione temporale della prestazione di lavoro ha lo scopo di escludere che due prestazioni lavorative risultino così ravvicinate da impedire al lavoratore di reintegrare le proprie energie psico fisiche.
* In regime di lavoro penalizzante (lavoro notturno e a turni) che implica rischi più elevati per chi lavora, sono previste regole specifiche in materia di sicurezza e salute.
* In caso di lavoro organizzato “secondo un certo ritmo”, il datore di lavoro deve rispettare il principio generale di adattamento del lavoro all’uomo per evitare il lavoro monotono e ripetitivo.

Dall’insieme di questi principi nasce la necessità di una definizione concettuale dell’orario di lavoro puntuale, perché esso rappresenta il limite temporale invalicabile della attività lavorativa che il singolo soggetto può obbligarsi a svolgere per il datore di lavoro, in funzione della tutela della sua salute o integrità psico fisica, e, al contrario, individua il periodo di tempo riservato alla sua dimensione esistenziale.

Lo stesso D. Lg. 663 sembrerebbe aver colto l’importanza concettuale dell’orario di lavoro là dove, con l’art. 7, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio secondo cui “il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore” e” il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo”.

La centralità del riposo discende direttamente dalla direttiva 93104, secondo cui il riposo è adeguato quando i lavoratori dispongono “di periodi di riposo regolari e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano l’organizzazione del lavoro, causino lesioni a sé stessi, ad altri lavoratori o a terzi che danneggino la loro salute”.

Fatte queste considerazioni di carattere generale e tornando all’interrogativo di partenza, se cioè col D. Lgs. 662003 sia stata adeguatamente tutelata la sicurezza dei lavoratori nello spirito del diritto comunitario, la risposta non può che suscitare perplessità.

E’ lo stesso tenore letterale dell’art. 1 co. 1° del D. Lgs. 663 a confermare i dubbi.

Precisa, infatti, la citata norma che “Le disposizioni del decreto sono dirette a regolamentare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, e, nel pieno rispetto della autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi alla organizzazione dell’orario di lavoro”.

Appare, pertanto, chiaro che la materia dell’orario di lavoro, anziché prefiggersi gli obiettivi primari di tutela della salute e della sicurezza, secondo le indicazioni comunitarie, è stata ricondotta alla disciplina del rapporto di lavoro.

Il D. Lgs. 663, analizzato alla luce dei principi generali sopra ricordati della normativa comunitaria, non può che suscitare riserve per il possibile profilo di negligenza comunitaria.

La funzione del limite massimo della giornata lavorativa, di fondamentale importanza perché l’eccessivo prolungamento dell’orario di lavoro nella singola giornata può costituire un fattore di rischio per il danno alla salute che ne può derivare, è stato completamente trascurato.

Numerose sono, infatti, le omissioni e le incongruenze da rilevare nel dettato normativo.

E’ mancata la determinazione del limite giornaliero della prestazione lavorativa in contrasto con l’art. 36 Cost.;

* non è stato precisato il limite massimo assoluto settimanale;
* la soglia di salvaguardia della integrità psico fisica del lavoratore è individuata ricorrendo ad una media con la conseguente elasticità dell’orario normale di lavoro;
* il lavoro straordinario è contemplato per una gamma di casi così vasta da consentirne la gestione illimitata.

L’avverbio “inoltre” fa ritenere che possa trattarsi di attività aggiuntiva non soggetta al doppio limite del consenso del lavoratore e del tetto annuo delle 250 ore;

* il superamento delle 48 ore settimanali non riguarderebbe l’ipotesi del lavoro in regime di flessibilità degli orari;
* il lavoro a turni non è oggetto di alcuna specifica disciplina;
* non è prevista la collocazione temporale delle pause intermedie.

I rilievi formulati portano a concludere che, attraverso la nuova disciplina dell’orario di lavoro, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento uno strumento di flessibilità che consente al datore di lavoro di ottimizzare l’utilizzo della forza lavoro, concentrando le prestazioni nei periodi di maggiore necessità e riducendone la quantità negli altri periodi.

Ma la normativa introdotta dal legislatore italiano ha disatteso gli obiettivi e i principi contenuti nelle direttive comunitarie di riferimento, mostrando la sua inadeguatezza dal punto di vista della tutela dei lavoratori, trascurando le indicazioni comunitarie in tema di “adattamento del lavoro all’uomo” e di salute e sicurezza dei lavoratori.

La lacuna normativa è tanto più significativa se si consideri che è ormai pacifico in giurisprudenza che l’orario di lavoro incide sulla salute dei lavoratori, e, conseguentemente, sui livelli di sicurezza e sulle responsabilità del datore di lavoro.

A tale proposito va sottolineato che il D. Lgs. 663 ha disatteso la disciplina di prevenzione del D. Lgs. 62694 sotto i diversi profili della:

* valutazione dei rischi
* informazione e formazione
* soggetti coinvolti RSPP – RSL
* medico competente

Il lavoro straordinario, data la possibilità di un suo utilizzo pressoché illimitato, può, infatti, costituire un vero e proprio fattore di rischio per il lavoratore da considerare nel documento di valutazione dei rischi a norma dell’art. 4 co. 2 lett. a) D. Lgs. 62694.

In buona sostanza, l’obiettivo comunitario di inserire alcune prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione del lavoro non è stato realizzato.

Ancorando la materia dell’orario di lavoro alla disciplina del rapporto di lavoro si è partiti col piede sbagliato, incentivando la flessibilità anziché implementare la sicurezza.

(avv. Luigi Michele Mariani)

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